lunedì 28 dicembre 2009

SIBERIA Magadan - Adalberto

SIBERIA Magadan - Adalberto


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domenica 27 dicembre 2009

rasputin ..... santo o demonio?

alla ricerca di rasputin, il monaco meledetto ............. siberia ..............

entusiasti partiamo alla volta della Russia…….Le piccole vetture mangiano la strada……Il tempo è bello, sa di viaggio, di avventura, di scoperta.Al confine tra Polonia e Bielorussia perdiamo più di 5 ore per sbrigare le consuete prassi burocratiche….Così quando arriviamo a Minsk, a casa di Andrei, la nostra guida ed interprete, sono le 5 del mattino.Il tempo di riposarci un attimo ed eccoci a Mosca.Sfiliamo in grande stile sulla Piazza Rossa ma dopo un po’ siamo costretti a sgomberare il campo: un gruppo di Ceceni ha occupato il teatro “….” ci dicono; solo al nostro ritorno in Italia sapremo come è andata a finire.Ci godiamo la capitale in tutto il suo antico splendore, anche se oramai il fascino è circoscritto alla sola Piazza Rossa. E’ una città che si sta trasformando velocemente cercando di avvicinarsi ai canoni occidentali.Le nostre menti tuttavia sono già in Siberia, ma prima dobbiamo arrivare sugli Urali che da Mosca distano ben 1777 km.Lasciata la capitale ci aspetta un altro mondo, fatto di cose povere ma di sentimenti genuini.Lungo la strada la gente vende di tutto: caffè, the, patate, olio per motori, gomme ricoperte, formaggio e funghi.scoltiamo i loro discorsi e tocchiamo con mano la dura realtà di questa gente: le paghe sono irrisorie e così devono lavorare sulla strada, vendendo quel poco che hanno per arrivare a fine mese….Nonostante la crisi economica, la fine del comunismo, il divario tra ricchi e poveri, nelle persone che incontriamo ci colpisce il sorriso, il tipico fatalismo russo, il sensodell’ospitalità e la gentilezza.Nel paese di NYZYGOROD abbiamo appuntamento con padre (o pope)Da lui vogliamo sapere cosa ne pensa di Rasputin; il perché delle numerose leggende legate al suo nome; se, come dicono, era un donnaiolo; e se è vero che la sua dottrina, “clisty” diceva “bisogna prima peccare per poi pregare”?INTERVISTA….“Tutte invenzioni – ci dice. Rasputin era un santo, ha fatto tanto per i poveri, lo hanno dipinto come un maniaco depravato ma non è la verità. Il fatto è che pregava molto e frequentava molte chiese, e si sa, nelle chiese ci sono sempre tante donne, mentre gli uomini sono al lavoro, e lui veniva fotografato in compagnia delle sue fedeli, tutto qui.Inoltre – continua davanti ai nostri volti non troppo convinti - si dice che ci fosse anche un suo sosia che partecipava alle feste, ai festini e alle orge, ma costui era un intrigo di palazzo, ordito da quelli che gli volevano male, che remavano contro per screditare il santo, l’uomo che aveva salvato la zarevic a dispetto di tanti dottori e luminari.Anche la storia, che si legge sui libri, per cui Rasputin si dice portasse con sé dalla Siberia un’erba officinale, utilizzata da tutti i contadini di quella regione per rimarginare le ferite, ed in grado pertanto di bloccare diversi tipi di emorragie, non corrisponde al vero.Non date retta ai libri – ci ammonisce il Pope - sono fatti per essere venduti Il suo unico segreto – ci assicura era la preghiera.Rasputin pregava tantissimo: solo con la fede e la concentrazione infatti si possono ottenere certi risultati….. “Anche ai fedeli che prima erano in chiesa e nel frattempo si erano avvicinati a noi incuriositi da telecamere e taccuini, chiediamo cosa ne pensano di Rasputin, ma appena sentono il nome si fanno il segno della croce e fuggono via…..La stessa reazione la registriamo a Vladimir, una delle città più antiche di tutta la Russia, dove andiamo alla ricerca di un altro Pope che ci racconti il suo punto di vista. Non vogliono telecamere, non vogliono curiosi, sembrano indispettiti. Non ci resta che riprendere le auto e proseguire il nostro viaggio sulle tracce di Rasputin.In una bella giornata di sole raggiungiamo il cippo che, posto a 1777 km da Mosca, segna il confine non soltanto ideale tra due continenti: stiamo per lasciare l’Europa per entrare in Asia….Il bandito sugli Urali Anche questo, come ogni confine che si rispetti, è al centro di traffici loschi ed affari sporchi.Ce lo conferma SASCIA un ragazzo robusto e nervoso che ci ha avvicinato con la scusa di chiederci una sigaretta.“Ero un pugile – ci racconta – Poi la mia carriera è finita, il lavoro nella città di Ufa non mi piaceva e così mi sono messo a fare il trafficante. Qui la polizia è corrotta e pericolosa – ci confida – ma io vivo di piccoli traffici, di contrabbando, di piccoli aiuti, non faccio male a nessuno. Una volta questa zona era presidiata da bande di teppisti che si spartivano il traffico di droga. Molti di loro erano anche miei amici ma adesso si sono trasferiti tutti in città dove si lavora meglio e con meno rischi. Io comunque non ho paura – ci assicura facendo intravedere la pistola che porta sotto la giacca. E se voi avete qualche problema dite che siete amici di Sascia….”Con questa assicurazione sulla vita costataci un paio di sigarette, ci dirigiamo verso gli Urali.Il paesaggio che attraversiamo è dolce, le curve ci fanno compagnia per tutto il viaggio per poi trasformarsi in un lungo rettilineo che arriva fin quasi a Vladivostok.Ci fermiamo più volte per fare riposare le vetture e ad ogni sosta assistiamo alle solite scene: bancarelle improvvisate, mercatini ambulanti, traffici e affari di povera gente.TYUMEN nel passato fu un’importante crocevia di trafficicommercio.Adesso l’aspetto è quello tipico delle città dell’ex unione sovietica: grandi palazzoni grigi, tristi e malinconici.All’inizio della città la solita polizia ci richiede i documenti e ci guarda stupiti. Intuiamo i loro pensieri e sorridiamo per farceli amici: abbiamo oramai imparato che è meglio se non vogliamo perdere delle ore preziose è meglio instaurare subito un buon feeling: per cui fuori i regali e poi via…. Cerchiamo un hotel ma in queste città non è facile: tutto è scritto in cirillico e poi l’hotel si trova nascosto in un condominio anonimo. D’altra parte è normale: qui non c’è turismo e non passa nessuno, tranne forse qualche rappresentanza politica una o due volte all’anno. Nonostante la desolazione che ci circonda noi siamo felici, perché domani arriveremo a POROVOSKOE, il paese o meglio il villaggio di (dove nel 18…. Nacque Grigori Efimovic, ovvero Rasputin. POROVOSKOE.Sono le 10 del mattino, quando con le nostre auto passiamo davanti al segnale posto all’entrata del villaggio di POROVOSKOE.Poche case scolorite, un supermercato che fa da bar e ristorante, una scuola, un museo chiuso, un vento che sa di neve e di antichi sapori, tutto è tale e quale a come lo abbiamo letto descritto sui tanti libri letti prima di partire, solo con più fango.La nostra meta è la casa di Victor, un parente lontano di Grigori Efimovic detto Rasputin.Con le nostre auto ci fermiamo davanti ad una piccola casa in legno dai colori sbiaditi.Neanche il tempo per scattare una foto, che Victor si materializza davanti a noi, ci allunga la mano in segno di benvenuti e ci invita ad entrare.Il viso del nostro ospite è in parte deformato dalla troppa vodka ma la somiglianza è forte e lo sguardo penetrante. “La mia bis nonna era una semplice donna delle pulizie - ci dice. Una volta però fece peccato con Rasputin e nacque mio nonno. Ecco perchè nelle mie vene scorre anche il suo sangue.Rasputin era un uomo onesto, quando tornava da San Pietroburgo portava regali per tutti, organizzava feste e banchetti, aiutava i bisognosi. Quelle che raccontano sul suo conto sono tutte fandonie.Era stimato, ammirato e invidiato.Quanto alle donne, scagli la prima pietra chi non ha peccato o chi non è uscito dalle righe – aggiunge con fare filosofico - . Nessuna donna parlava male di lui, anzi….Lo accusarono di essere un libertino, un ubriacone ma sono tutte bugie. Lo avevano dipinto così i suoi nemici; lui possedeva un grande ascendente alla corte degli zar e molto potere, naturale quindi che avesse molti nemici, ma con la fede egli riusciva a superare tutto. Fu la Viburova, la dama di compagnia della zarina – ci racconta - ad introdurlo a corte, raccontando le sue gesta, i suoi miracoli. Si dice che fosse in grado di fermare i cavalli in corsa con uno sguardo.Quel che è certo è che riuscì a bloccare la grave emorragia dello zarevic, salvandogli la vita… Una guarigione che gli stessi medici hanno dovuto constatare senza darsi una spiegazione”.Victor si interrompe un attimo per mostrarci la sua povera casa che vorrebbe aggiustare ma non ha i soldi per farlo. Vive con una zia 93enne, cieca, distesa su di un letto sudicio.La stanza sa di fumo, di cose vecchie oramai dimenticate.Un piccolo tavolo fa da cornice alla finestra rotta, due sedie sono abbandonate in un angolo.Sulla stufa bolle una pentola di patate. Tutto semplice, tutto così lontano da noi, ma tutto vero, genuino, spontaneo come i suoi movimenti, i suoi sguardi le sue continue sigarette.“Quando mia nonna si sposò – prosegue il suo racconto - Rasputin le regalò una sedia ed un tavolo; un regalo molto costoso in quei tempi, e poi disse allo sposo: quando con il passare degli anni le forze ti abbandoneranno, siediti su questa sedia e ti sentirai nuovamente forte e giovane come un tempo.Ebbene, non c’è uomo giovane o vecchio qui in paese, che non si sia seduto su questa sedia per attingere un po’ della sua diabolica energia…”Anche dei giornalisti che erano venuti a visitare il museo si sono seduti, quindi il suo magnetismo e la sua forza continuano.Lasciamo Victor, il pronipote di Rasputin, forti delle emozioni che ci ha regalato il suo racconto e ci dirigiamo verso la vicina scuola elementare dove abbiamo alcuni regali da consegnare.Le maestre sono contente e stupite della nostra presenza, mentre i bambini ci salutano dalle finestre correndoci incontro per dedicarci una canzone, mentre noi, emozionati e toccati nel profondo, restiamo immobili ad osservare i loro grati sorrisi. PADRE SERAFINO……….. Lungo la strada verso gli Urali, un altro incontro con un personaggio particolare ci spinge a fermarci. Padre Serafino è un ragazzo alto un metro e novanta, portamento fiero, lo sguardo sicuro, i gesti di chi sa vivere.Assieme al suo fido aiutante, è partito a piedi dal Caucaso per raggiungere Mosca per visitare i luoghi santi e fare penitenza. Peccato che Mosca disti ancora 2000 km. “Questo nome – ci racconta – mi è stato dato quando sono diventato monaco. Sono nato in una famiglia disagiata e ad un certo punto ho trovato la strada di Dio. Adesso sto andando a Mosca a pregare sulla tomba di Serghey Radunisky (chi è?), nel monastero dove ho preso i voti.Questo mio pellegrinaggio rafforza lo spirito.Non sono un avventuriero, chiedo la carità lungo la strada per poter mangiare, passo la notte nei vari conventi, e quando non li trovo mi affido alla grande ospitalità del popolo russo.Mio papà – aggiunge - non l’ho mai conosciuto; mia mamma vive in un villaggio sperduto della Siberia, mia sorella è monaca, ed io mi avvicino a Dio camminando. Una volta giunto a Mosca non so cosa farò. Solo Dio è padrone della nostra povera vita, io faccio il mio dovere,ascolto e prego”.Affascinati da questo personaggio gli chiediamo se ha mai sentito parlare di Rasputin “Certo – ci risponde - era un pellegrino come me, ha fatto del bene e aiutato le persone povere tutto il resto sono falsità….”I DUE CONTADINI…. Ha ripreso a nevicare…….Ci fermiamo in un villaggio che sembra uscito da una favola di Natale.Davanti ad una casetta siberiana più curata delle altre una donna ci osserva con un sorriso…… e ci invita a entrare per bere un tè.L’interno è dignitosamente povero, un gatto sonnecchia sulla peka, stufa, mentre l’acqua nel samovar bolle sbuffando.Lei è molto decisa, sicura di sé, come tutte le donne russe, mentre il marito ha un bel faccione simpatico.“Mi chiamo Resov Alerei Vassilevic – ci dice – e mia moglie si chiama Nina.Siamo due poveri contadini, viviamo con la nostra misera pensione equivalente a circa 10 $ al mese. I giovani sono andati via e noi siamo rimasti soli. Nessuno oramai vuole più fare il musik, il contadino, i tempi sono cambiati.Una volta si stava meglio: al tempo di Stalin, c’era lavoro e pane per tutti, ci si divertiva, eravamo allegri.Adesso – interviene la moglie - mi viene rabbia quando vedo la TV, ci sono tante belle cose ma chi può permettersi di comprarle? Possiamo solo vederle in TV. E’ peggio che ai tempi di Eltsin, d’altra parte quello pensava a bere e basta. Io spero in Putin – ci dice - e prego che mi dia la forza di voler vivere”.Spieghiamo anche a loro il motivo del nostro viaggio e, appena sentono il nome di Rasputin si mettono a ridere.“Quello era l’anti Cristo – ci assicurano – Era una persona furba, mica come noi che non dormiamo la notte al pensiero che dobbiamo ritornare 500 rubli al negozio di alimentari…”Ascoltiamo con attenzione, la loro voglia di parlare ed i loro silenzi.Li osserviamo mentre nella stalla preparano il cibo per l’unica e preziosissima vacca e per il cane che li protegge.Ci congedano invitandoci a ritornare: saremo sempre qui e non cambierà niente.Nevica, tutto è più bello ma più difficile, mentre attraversiamo paesi dai nomi impronunciabili. Le solite babuske sfidano il gelo siberiano sperando di arrotondare il bilancio in maniera onesta.Più di una volta ci fermiamo ad aiutare diverse automobili uscitedi strada causa il ghiaccio;la neve copre tutto anche iostri pensieri.San Pietroburgo……quest’anno compie 300 anni, e la città ci accoglie in tutto il suo splendore.La chiamavano la Venezia del Baltico: palazzi, musei, vie famose ci fanno compagnia…..In questa città nei primi ‘900 Rasputin il musik, lo starec, l’avventuriero, il consulente della zarina dominava i pensieri della corte.Sostituiva ministri, curava lo zarevic affetto da una grave forma di emofilia, organizzava feste che si tramutavano in orge, frequentava gli zingari, forse per carpirne segreti e magnetismi.Era diventato potente, temuto, invidiato a tal punto che un giorno, una cricca di nobili, tra cui ……. Jupov, suo grande amico, gli organizzarono quella che per lui sarebbe stata l’ultima cena, l’ultima sfida al santone nero: la scusa, l’incontro con una bellissima donna.Il teatro di questo ultimo atto la splendida casa Jupov.Rasputin mangiò dei i biscotti avvelenati, quindi i suoi assassini gli spararono e lo gettano, ancora vivo nella Neva.Lo trovarono il giorno dopo; il cadavere venne subito fatto sparire mentre la gente del posto continuò per giorni ad andare in processione a raccogliere l’acqua dove lo avevano trovato. a zarina distrutta dal dolore lo fece seppellire nel parco della residenza ma ben presto la profezia di Rasputin che aveva detto “alla mia morte scorrerà molto sangue” si avverò lo stesso.Da lì a poco scoppia la rivoluzione, la famiglia Romanov è annientata, la tomba di Rasputin distrutta su ordine di Lenin, il bolscevismo diventa padrone di tutta la Russia dopo una guerra civile rossi contro bianchi, cambia tutto, la Russia diventa segreta, e POROVOSKOE si trova isolata più che mai.Quando cadono i muri, la Russia apre le sue porte e noi andiamo incontro alla storia, cercando sulla cartina il minuscolo villaggio di POROVOSKOE da dove molti anni prima era partito con il suo fardello di povertà un contadino alla conquista di San Pietroburgo.Abbiamo vissuto un viaggio fantastico, visitato il suo villaggio, visto le chiese dove ha pregato e peccato, incontrato persone che ci hanno regalato amicizia e ospitalità… E sfogliando l’ultima pagina del libro sulla vita di Rasputin, alla domanda se sia stato un avventuriero o un santo? Ladro o onesto? Buono o cattivo? Non sappiamo dare una risposta certa………..Ma quel che è certo e che a noi pellegrini del 2000, questo viaggio ha lasciato un segno che difficilmente dimenticheremo, e i 6500 km che ci separano da POROVOSKOE, adesso che siamo tornati, ci sembrano molto più vicini……..

la prima grande impresa ................ correva il 1999 ..

In viaggio attraverso la
"Terra Addormentata"



Da Udine a Vladivostok nel 1999



Racconta un'antica leggenda che quando Dio creò la Siberia decise di sorvolarla tutta, ma il viaggio fu talmente lungo che dalle dita rattrappite per il freddo caddero inestimabili ricchezze; per impedire che gli uomini ne approfittassero, le ricoprì con un altissimo strato di ghiaccio. La terra addormentata (così le tribù tartare chiamavano la Siberia) si estende per 8.000 krn, dagli Urali al Pacifico.
Con la famosa Transiberiana da Mosca a Vladivostok servono più o meno otto giorni, come mezzo secolo fa, muovendosi in direzione opposta al sole lungo sette fusi orari. Nel luglio 1997, alle 3 e 20 del mattino, dal finestrino della Transiberiana osservavo la notte e pensavo che sarebbe stato bello arrivare con delle vetture proprie fino a Vladivostok in inverno: neve, ghiaccio, vento, avventura, mistero e l'emozione della paura. Con degli amici, anche loro amanti dei viaggi, si decide di provarci nel 1999: sponsor, auto, discussioni varie, imprevisti, incomprensioni, lavoro di routine e finalmente siamo pronti. Partiamo a febbraio con due Kangoo Renault: Andrej, Adalberto, Sandro, Alberto, Franco e Stefano, pieni d'entusiasmo e voglia di scoprire. In Bielorussia facciamo tappa a Minsk, a casa dì Andrej.
Dopo una giornata di riposo si va a Mosca: sostiamo nella Piazza Rossa, dove incomincìamo a fotografare la nostra piccola grande impresa. C'è il sole che ci aspetta sugli Urali, ondeggianti, belli, puliti, armoniosi come i loro tornanti. Mi fermo a scattare alcune foro e respiro quest'aria cristallina, il paesaggio è stupendo: neve. cielo azzurro, qualche camion sgangherato rompe il silenzio, ma tutto intorno c'è un'atmosfera magica. Dobbiamo riprendere la marcia, ma è stato bello isolarsi per alcuni attimi. Per puro caso a Ufa, centro industriale, facciamo conoscenza con un'équipe televisiva russa, che tenta lo stesso raid. Ci raccontano le loro esperienze di viaggio e ci parlano della Russia in generale. Sono simpatici e resteremo assieme fino al lago Bajkal, poi la loro vettura non potrà più proseguire il viaggio, distrutta dalle strade russe. Superati gli Urali, siamo in Asia. Le strade sono perlopiù ghiacciate, ma ogni tanto le troviamo pulite e lanciamo le nostre macchine a una velocità quasi europea.
A Omsk siamo ospiti di personalità legate al mondo della cultura, del commercio, della politica: siamo un po' imbarazzati perché non sappiamo come ricambiare tanta amicizia. Notiamo la sauna privata. belle macchine, cellulari, case belle e spaziose e... potere. In Russia la forbice tra il nuovo ricco ed il vecchio povero si è allargata in modo spaventoso; non esiste il medio, La cosa fa riflettere: potranno continuare così? Lungo il percorso i villaggi sono poveri e malinconici. però riescono a darti emozioni: casette colorate in legno, una babushka cammina nella neve con il suo carico di cose buone, i bambini giocano con la slitta, un cane cerca un po' di cibo, c'è un camino che fuma...
Ci fermianìo a scattare qualche foto, una famiglia ci apre la porta di casa e ci accoglie come vecchi amici offrendoci tè, pane, dolce, biscotti. Quanta ospitalità e generosità da questa povera gente! Regaliamo loro una bottiglia di vino e biscotti italiani. La babushka ci ringrazia di cuore. "Adesso tante persone pensano solo a mettere i soldi in banca - dice - noi siamo contenti di mettere i ricordi nel nostro cuore". Lasciata la casa, in macchina c'è silenzio: quella nonnina, penso, con una frase semplice ma profonda, ci ha toccati dentro. Ogni tanto veniamo fermati da poliziotti, che si lasciano fotografare mettendo in bella mostra i distintivi. Multe prese: due, su quasi 14.000 km: non ci si può proprio lamentare anche perché le cifre da pagare erano due/tremila lire. Arriviamo a Novosibirsk. Anche qui siamo ospiti grazie agli amici della televisione russa. Fa freddo, -20°C, ma la giornata è serena. Girando per la città abbiamo l'occasione dì conoscere i pescatori sul fiume ghiacciato, fotografiamo degli sposi, visitiamo il centro con vecchi simboli del socialismo reale, andiamo a trovare dei missionari italiani,
Quando lasciamo la città la temperatura si è notevolmente abbassata, ma i nostri cuori sono caldi per l'accoglienza ricevuta. Il cielo sembra scuro e minaccioso; involontariamente penso alla pioggia, invece siamo vicini a Kemerovo, zona di miniere, villaggi quasi abbandonati, la gente non prende la paga da diversi mesi, la situazione è drammatica. Lo smog ha sporcato tutto; anche la neve qui non è più bianca. In un piccolo villaggio diamo biscotti, adesivi, collanine e caramelle ai bambini che ci corrono incontro, i loro visi si riempiono di gioia, i nostri cuori di tristezza: fra mezz'ora tutto sarà finito. Noi partiremo e loro resteranno qui a sognare una vita migliore. Speriamo almeno di avergli lasciato il nostro piccolo ricordo. Strada e ancora strada. Parliamo poco in macchina, scambiamo qualche opinione, chiediamo ai passanti se la direzione è giusta, ma le nostre menti sono assorbite da ciò che vediamo: miseria, visi tristi e rassegnati, case povere, macchine abbandonate, trattori distrutti, bar al limite della decenza, e quella speranza che ormai se n'è andata come un fiocco di neve che toccando il suolo scompare. Le betulle ci fanno compagnia.
Una trojka antica ci rallegra, un vecchio sidecar ci sorpassa e ci saluta. Sono anche queste piccole cose che fanno grande un viaggio. A Krasnojarsk - bella e moderna città - dove i palazzoni del vecchio regime stonano con il centro bello e lineare, veniamo intervistati dalla televisione russa, qualche ragazzino ci chiede l'autografo, un anziano ci scatta delle foto. Siamo tutti un po' eccitati perché domani arriveremo sul lago Bajkal, tappa fondamentale per riposare un giorno e vedere se le macchine sono a posto. Ma lo stato delle strade ci fa ritardare di un giorno l'arrivo. Il Bajkal è completamente gelato: un camion lo percorre da nord a sud; e pittoresche casette formano una bella cornice. I bambini giocano sul ghiaccio. donne anziane vendono pesce, vodka, birra e la loro amicizia: mi dicono di essere tranquille e felici perché sulle sponde del lago si vive bene, lontano dai rumori e dai problemi delle grandi città. Dopo 500 km arriviamo a Ulan-Udè. La popolazione è buriata; assomigliano ai mongoli e anche il centro della città, dove domina la più grande testa di Lenin di tutta la Russia, è una piccola fotocopia di Ulan-Bator, capitale della Mongolia.
La gente è cordialissima, Andrej è messo a dura prova, vogliono sapere tutto di noi: chi siamo, dove andiamo, quanto tempo ci fermiamo, come ci chiamiamo e se vogliamo cambiare dollari. La stanchezza si fa sentire, ma ci attende ancora il pezzo più duro del viaggio che ci porterà a Vladivostok, sul Mar dei Giappone... il sogno sta diventando realtà. Adesso dobbiamo correre sul fiume gelato, con uno spessore di circa ottanta centimetri, per poi risalire nel bosco dove la pista diventa stretta, insidiosa e piena di buche. Ci fermiamo parecchie volte a chiedere informazioni ai camionisti o alle persone che incontriamo nei piccoli villaggi: tutti ci dicono: "penso si vada sempre dritto". Mi arrabbio con Andrej dicendogli che non bisogna pensare, ma avere una risposta chiara, perché se sbag]iamo pista e rimaniamo senza benzina cosa facciamo? Andrej mi risponde: "ricordati che siamo in Russia". E' vero, non ci si può lamentare. Siamo venuti noi a cercare l'avventura. Sempre dritto. Verso le dieci di sera, lungo il fiume ghiacciato, come per miraggio, vediamo il cartello con la forchetta: siamo contenti e per incanto scompare tutta la stanchezza.
Il posto è spartano, orgogliosamente pulito, un gatto sonnecchia vicino alla stufa, un bambino ci guarda con curiosità. Il papà ci fa accomodare e ci consiglia pilmini, carne e patate; diciamo che va bene e lo invitiamo a sederci con noi per fare quattro chiacchiere. Ci racconta la sua vita, dal suo viso capiamo la sofferenza, ma nello stesso tempo è felice che qualcuno lo ascolti, si sfoga volentieri, ma non vuole essere ripreso, vecchie paure mai dimenticate. Potremmo dormire a casa sua per pochi rubli ma la pista ci chiama, così ci ritroviamo in macchina e, dopo aver scaldato i motori, si riparte. Incominciano le rampe ghiacciate; bisogna fare attenzione, una mossa sbagliata potrebbe costarci cara. Alle due del mattino buchiamo e con le ultime forze cambiamo la ruota. Verso le tre troviamo una casa-pensione.



Una signora gentilissima ci apre le porte delle nostre stanze e finalmente possiamo distenderci a riposare per un paio d'ore. I letti sono vecchi e scomodi, sulle pareti della camera c'è una fotografia, presa da un giornale, di una bella ragazza, i tubi del riscaldamento avvolgono la stanza di calore, l'armadio sembra abbandonato da molto tempo, la finestra è ghiacciata: mi fermo ad osservarla con un sentimento strano, mi sembra un sogno. La mattina dopo la signora ci prepara tè caldo e biscotti; le regaliamo anche noi qualcosa: pasta, scatolette di carne, marmellata, olio, passato di pomodoro. La salutiamo con un po' di nostalgia. Lasciamo questa casetta in mezzo alla neve e torniamo sulla pista. Una Uaz ci fa strada e ci porta nella direzione giusta, ma rimane senza benzina; per fortuna le nostre taniche sono piene e possiamo ricambiare l'aiuto. Fa freddo, la giornata è limpida, la pista ci accoglie con tutte le sue insidie, ma ormai sappiamo come prendere buche e avvallamenti senza creare problemi alle vetture. Neve e ghiaccio ci fanno compagnia in mezzo al bosco, mangiamo una scatoletta di tonno.



I nostri visi portano i segni del viaggio, però restiamo concentrati e decisi a portare a termine l'impresa. Dopo venti ore di macchina ci fermiamo, distrutti: mani, polsi, gambe, schiena e occhi sono provati dallo sforzo. Troviamo una stazione ferroviaria in un piccolo villaggio, per circa mille lire a testa possiamo dormire qualche ora. Sono circa le quattro di mattina, la neve brilla nel buio e gioca con le nostre macchine; completiamo le prassi burocratiche dei passaporti e ci buttiamo a letto vestiti, non facciamo in tempo a dirci "buona notte" che siamo già tutti addormentati. Meno quaranta: dobbiamo cambiare una gomma, impresa titanica a queste temperature, ma dopo un'ora siamo pronti a partire. Dopo quasi 500 km di piste tra il fiume gelato e il bosco, dove fare manovra diventa un problema per mancanza dì spazio, arriviamo a Habarovsk. Finalmente l'asfalto! Corriamo bene anche perché caricati moralmente dalla meta ormai vicina. Ma a 300 km da Vladivostok ecco il Buran: tempesta con vento e neve. La nostra marcia viene rallentata in maniera spaventosa, dai 90 km/h dobbiamo passare ai 40; è buio pesto e sulla strada si è formata una sinistra lastra di ghiaccio. Con i fari alti la neve sembra un muro bianco che si erge davanti alla macchina, i riflessi non sono più quelli di quindici ore fa. Siamo in ballo e poi, in fondo, il Buran mancava alla nostra collezione di emozioni e di ricordi. Alle tre del mattino vediamo le prime luci della città, un ultimo controllo di polizia e arriviamo sotto il cartello di Vladivostok: sono le 3 e 20 del mattino, la stessa ora di quella notte del 1997.
Ci fermiamo, emozionati, a scattare qualche foto ricordo per noi e per gli sponsor. Il freddo è insistente, ma viene sopportato con una struggente felicità che trabocca dal nostro cuore. Brindiamo e, come per magia, il vento è cessato, l'aria è limpida, la notte serena, sui nostri volti scavati dalla fatica esce l'ultimo lampo di gioia, una stretta di mano, qualche pacca sulla spalla e poi via a cercare l'ultimo letto siberiano, per riposare e incominciare già a ricordare la nostra "grande impresa". Abbiamo attraversato la "terra addormentata".

R4 resterà sempre la più bella emozione ....

Un'altra impresa da primato di Adalberto Buzzin Aneddoti del viaggio.Con la gloriosa R4 verso i Carpazi E' un legame stretto, quasi da primato, quello che lega il cormonese Adalberto Buzzin e un certo modello diutovettura.E nel centro collinare quella per la Renault 4 è una passione ormai ben nota. Del resto come negarla, visto che è comprovata da tanti chilometri percorsi nei paesi più disparati di ben tre continenti? Proprio in questi giorni di chilometri, poi, se ne sono aggiunti altri. Tirando quattro conti si scopre che Adalberto Buzzin, nei 25 anni al volante di questa vetturetta oramai d'altri tempi, ha “macinato ben 800 mila chilometri.con due autovetture distinte, la prima bianca e la seconda rossa, Buzzin ha girato l'Europa, l'Asia, si è fatto il MedioOriente e una bella fetta dell'Africa (deserto del Sahara compreso).Tra i suoi trofei, se così si può dire, mancava la Russia. Detto fatto: la meta i Carpazi, distante tremila chilometri. Come sempre pare che l'autovettura abbia fatto il suo dovere. «Il momento più simpatico - afferma Buzzin, - è stato quello con un poliziotto ucraino sul confine nella città di Chop. Non aveva mai visto una Renault 4, per quanto possa sembrare incredibile e tra lo stupito e il divertito ha affermato “questa non è una macchina è un Ufo”. Sta di fatto che a noi la risata generale è servita a smorzare un po' la tensione sul confine, visto che c'è una prassi non da poco, con due ore e mezzo di attesa quando si entra e oltre quattro ore in uscita». il viaggio ha toccato le città di Uzhgorod, Mukachevo, Skole, Stree Shegini.Il bello di quelle zone è la tranquillità dei paesetti, - prosegue Buzzin, - con le case colorate che si incontrano. La gente è gentile e a volte ci guardava con la curiosità di sapere dove andasse quella vetturetta rossa. In qualche modo balzavamo agli occhi, visto che sulle strade si incontrano solo Tir e fuoristrada di fabbricazione russa. Del resto le buche sono talmente tante che il fuoristrada è il mezzo migliore. In tutti i casi anche la Renault 4 le ha superate con estrema disinvoltura».

un altro amico, un'altra emozione

Proprio ora è arrivato il pacco contenente il libro. Pur non avendo molto tempo ora, l'impazienza mi ha spinto comunque ad aprirlo. Da un'esame superficiale dell'opera, posso dire che non è consigliabile l'acquisto a: 1) coloro che non amano viaggiare 2) coloro che non riescono ad immaginare di trovarsi in un altro luogo semplicemente guardando una bella immagine 3) coloro che non sanno apprezzare le belle fotografie 4) coloro che non amano guadagnarsi il risultato ma vogliono tutto già pronto. Un consiglio: Per ogni fotografia è necessario osservare ogni dettaglio, poi guardarla nell'insieme per alcuni secondi. Quando il cuore comincierà ad aprirsi allora sembrerà come di trovarsi davanti ad una finestra ad osservare una scena in movimento.

commento di un amico ...

Adalberto Buzzin mi ha spedito qualche immagine del suo nuovo libro di foto dalla Siberia, che si vende nelle due librerie di Cormons.La presentazione, il 17 marzo, sarà anche il resoconto dell’ultima spedizione in Siberia del Gennaio 2006 (dove si sono toccati i meno 56°). Storie, avventure e leggende di questa sterminata regione, dove il viaggiatore cerca sempre l’uscita più comoda senza successo, prechè la natura, com’è giusto, vince sempre.Nell’immagine, il confine tra Asia ed Europa, a 1777 chilometri da Mosca.Dice Adalberto: … ma ogni tanto mi piacerebbe tornare e girare con uno zaino sulle spalle, alla scoperta del mondo. In fondo viaggiare è una delle cose per cui vale la pena vivere, è farlo da giovani, senza nessun obbligo se non quello di respirare, vedere, valutare e conoscere il più possibile, è una fortuna.

sahara

viaggio in solitario

La magia del Sahara*

era la prima volta che mi trovavo nel deserto del Sahara, c'era una forte curiosità e nello stesso tempo mi concedevo l'emozione della paura. Perché uno vuole andare nel deserto? Cosa lo spinqe? Cosa pensa di trovare? Come lo trova? Mi sono fatto anch'io queste domande, ma sarei un bugiardo se vi dicessi che ho trovato delle risposte, so solo che una parte di me stesso è rimasta laggiù e non so se potrò mai ritrovarla. L'immaginavo come l'ho trovato: con i suoi spazi, suoi silenzi, il vento, il sole, la sabbia e perché no, con quel misticismo che tanto affascina l'occhio ed il cuore dell avventuriero. Lasciando Agadez, la perla del deserto, scompaiono gli ultimi colori della savana e di colpo ti ritrovi nell'immensità in una terra senza confine. Il prima impatto è meraviglioso, spiegare i propri sentimenti non è facile, ma le sensazioni di quei momenti saranno irripetibili. C'era un sole che scaldava appena, il cielo era limpido, la Renault 4 ondulava sulla sabbia con una certa timidezza e affrontava questa avventura senza poche riserve di riuscita; i pochi cespugli che segnavano la pista ormai stavano scomparendo e di colpo, come per incanto, lo spazio che tutti noi cerchiamo e forse non troviamo.Chissà perché?la sabbia si faceva sempre più leggera e nemica, il paesaggio cambiava continuamente, i colori erano stupendi; scorgo una carovana di beduini diretta chissà dove e penso a questi «Ulissi» ormai in fase di estinzione, che con la loro pazienza, il loro sacrificio, riescono ancora a fare quello che vogliono e a trovare in questo oceano di sabbia il loro mondo migliore. Si scorgono i primi miraggi e le emozioni non si contano più, ti sembra di vivere in un altro mondo, fuori dalla realtà. Mi fermo. Per far riposare la macchina e per sgranchirmi le gambe. Tocco la sabbia con un gesto quasi istintivo, la trovo diversa, mi sfugge via attraverso le dita come la vita. Vedo avvicinarsi due Tuareg - gli ultimi nobili del deserto - con Il loro portamento fiero e severo, ma in fondo sono buoni e semplici; vorrei comunicare con loro, ma la cosa non è facile per via della lingua. Si accorgono che sto osservando con stupore le bellissime spade che portano nel cinturone. Chiedo il prezzo ma mi fanno capire che non sono in vendita, perché se le tramandano di padre in figlio. Non insisto più, mi sembra logico. Offro una sigaretta, ma con una gentilezza trovata chissà dove mi fanno capire che se ne devono andare; prima di salire sul cammello noto che uno dei due Tuareg porta l'orologio. Di colpo mi sento triste. Sto ancora pensando a questo particolare e loro sono già lontani e con ampi cenni delle mani cerchiamo di salutarci. Addio guerrieri senza confine. Mi verrebbe voglia di urlare.Si riparte. Il paesaggio non cambia, le dune ti fanno compagnia. noti qualche carcassa di macchina, che il deserto sembra voglia conservare e proteggere, il tramonto si avvicina e tutto intorno a te cambia: ti sembra di vivere in due deserti, uno di giorno, pieno di vita e di sole, e uno di notte, silenzioso e mistrioso. Fermo la macchina, scendo con il mio amico Maurizio Pepe e sistemiamo i sacchi a pelo.la notte è serena, ma fredda (il giorno tocca i 5O gradi, la notte la temperatura scende sugli O gradi), sperando di non trovarti uno scorpione nel sacco a pelo ti addormenti. Spunta l'alba, il deserto come per incanto acquista i suoi colori, le sue forme: un'altra giornata ti aspetta. Mentre ci prepariamo il classico tè penso a quello che troveremo oggi, e mi ponga delle domande, senza trovare alcuna risposta chiara.Si parte verso Tamanrasset dove, dopo tante centinaia e centinaia di chilometri, troveremo l'asfalto, con la speranza di trovare ancora quel “qualcosa” che tanto ti ha dato e detto e che ti ha fatto vivere delle emozioni fantastiche, perché quando toccherai l'asfalto, pur mancando 3000 km per arrivare a casa, non troverai più la sabbia, che qualche volta hai anche maledetto, e con essa tante altre cose che ti portavi dentro: tutto questo ha una sola magica parola: SAHARA.

mongolia, dove le colline si tingono di rosa ....

mongolia dove il vento sa di libertà .......

Ai confini della civiltà, dove il tempo non esiste Con la Transiberiana a Ulan Bator alla ricerca della vera Mongolia “La gente è cordiale, i sorrisi di benvenuto ti fanno capire che l'ambiente è tranquillo e sereno. E qui 'ospitalità è sacra…“Dopo anni e anni di viaggi dall'Africa nera al Medio Oriente, dall'Islanda al Kuwait, da Sumatra alla Cina, dall' Albania al Centro America, maturavo sempre un sogno: la famosa Transiberiana con arrivo in Mongolia. Finalmente, con l'aiuto tecnico del signor Andrej Chutnik (vedi prassi burocratiche) si parte. Dopo tre ore di aereo eccomi a Mosca dove, due giorni dopo - alle 20.00 in punto - salgo sul treno che in cinque notti, mi porterà nella lontana Mongolia. Il treno è tutto un “film”: non ci sono turisti ma solo mongoli che ritornano a casa, mercanteggiano sempre: vestiti, vivande. sigarette. arnesi da lavoro, ecc. Il treno è lento. Ogni tanto si ferma per 15-25 minuti, si può scendere per fare qualche foto, per sgranchirsi le gambe, per cercare qualcosa da mangiare che non siano sempre le solite scatolette… I mongoli sono sempre sorridenti e disponibili, si fa amicizia con estrema facilità. Il paesaggio toglie il respiro. Attraversiamo città storiche: Ekaterinburg ( dove furono uccisi lo Zar Nicola Il e la sua famiglia); gli Urali, che rappresentano la frontiera tra Europa ed Asia, al km 1777; Novosibirsk, capitale nuova della Siberia; la Taiga; il lago Bajkal, grande quanto il Belgio. In piena notte arrivo a Ulan-Udé, confine russo-mongolo. Sono le tre del mattino, in Italia sono le 20.00. Le prassi burocratiche sono lunghe e noiose: prima i russi, poi i mongoli. Fuori albeggia. Bambini abbandonati cercano del cibo - il primo impatto è duro, spigoloso, metallico. Finalmente dopo un paio d'ore si riparte e la panoramica cambia, la steppa, le tende (yurta - in russo, ger in mongolo), i cavalli, la luce e un sole che non scalda ancora. Il tempo - penso - si è fermato ai tempi di Gengis-Khan: le emozioni si moltiplicano, la stanchezza è svanita, l'occhio cerca di assorbire il più possibile tutto ciò che lo circonda. In questi posti si trova lo spazio che, forse, tutti noi cerchiamo. I mongoli hanno i movimenti calmi, il sorriso di benvenuto ti fa capire che l'ambiente è tranquillo e sereno, l'ospitalità è sacra. La vita del nomade è dura e difficile. i loro visi sono scolpiti dal sole e dal vento, vivono in tende circolari che riescono a montare anche in condizioni estreme e che permettono loro di spostarsi rapidamente con tutti gli animali che hanno al seguito. Si mangia montone e patate, si beve latte acido, c'è anche la vodka… I brindisi si sprecano la sera… intanto le donne preparano le stuoie dove dormiremo. In Mongolia non esiste il fattore tempo. Mi spiego meglio: un nomade mi raccontava che non devi dire “ci vediamo alle 15.00”, perché mi vincoli, ma devi dire “ci vediamo dopo le 15.00”, e anche se tu arrivi alle 22.00 non c'è nessun problema. Capito!! Ho assistito al Naadan, festa popolare tradizionale. Ci sono tre fasi: la lotta; il tiro con l'arco; la corsa dei cavalli, dove bambini dai 6 ai 12 anni percorrono 30 km nella steppa, senza l'aiuto di nessuno, dove l'importante è arrivare e dimostrare di essere diventati uomini coraggiosi. Quest'ultima fase è il clou della festa. Migliaia di persone sono assiepate all'arrivo e fanno un tifo da stadio. Bellissimi i vestiti locali usati per l'occasione. La capitale Ulan-Bator è composta da quattro vie, il grandissimo centro dove spicca la statua di Suhbaatar, eroe nazionale; poi è tutta una serie di blocchi ricordo del sistema sovietico. Mercati tradizionali e folcloristici (attenzione ai ladri) e qualche statua di Lenin abbandonata a se stessa. Abitanti 800.000 circa, la capitale è situata a 1350 metri di altitudine, sulle rive del fiume Tuul, in una zona collinare. Il mese di luglio è il più caldo, piove pochissimo. Spostarsi non è facile, viaggiare neanche. I mezzi sono scarsi, le corriere si sa quando partono ma non quando arrivano, i treni hanno percorsi brevi e non c'è mai un orario preciso: io sono stato fortunato perchè avevo un macchina giapponese, così potevo muovermi liberamente. Anche se fuori la capitale bisogna fare attenzione, molta attenzione, alle buche profonde, ai sorpassi, e quando ci si trova su una pista è come trovarsi nel Sahara, l'esperienza insegna. Posti visitati: Karakorum - la vecchia capitale, molto suggestiva; il monastero di Manzshir; Terelj, zona di cura. Ma quello che soddisfa il viaggiatore è la panoramica della Mongolia, dove sembra di essere capitati in un'altra epoca. Se si vuole respirare un po' di aria mongola, basta andare in uno Zah, grande mercato tradizionale, dove si trova e si vede di tutto: bello, interessante, vivace e pericoloso ma, soprattutto, vivo. Non c'è che dire, l'italiano non è molto conosciuto. Il nostro compatriota più noto è ancora Marco Polo. Il tempo vola, devo rientrare e prepararmi a ricordare. Mentre l'aereo mi riporta a Mosca ripenso al viaggio: la mitica transiberiana, con i suoi sapori di antichi splendori; la Siberia; una pista mongola dove maledicevi il caldo, la polvere, i sassi. Ma già adesso sto rimpiangendo i cavalli, i bambini sorridenti, le tende sparse qua e là e quel sogno che è diventato una raltà.A.B

conferenza .......

L'esploratore cormonese ha raccontato la sua avventura nella sala del Consiglio provinciale La Siberia vista da Buzzin. presentazione di Demetrio Volcic che ha parlato del “Mal di Russia” Alla fine della proiezione, sullo straordinario fotogramma di un tramonto polare di gelida e infinita bellezza, l'applauso si è levato spontaneo e caloroso e deve aver lasciato probabilmente un po' sorpreso l'esploratore cormonese Adalberto Buzzin, già decisamente stupito da]l'impronosticabile affluenza di pubblico, con una sala del Consiglio provinciale assolutamente strabocchevole. “Ne sarà valsa davvero la pena…” avrà pensato il protagonista dell'impresa: passare 33 giorni al cospetto di temperature oscillanti tra i -10 e i -40 gradi, spingersi fino a Vladivostok, capolinea della Transiberiana, percorrendo piste pressoché impraticabili su una semplice auto di serie esponendosi a pericoli d'ogni sorta per il gusto ineffabile dell'avventura, ma, a quanto pare, anche per il riconoscimento da parte dei concittadini evidentemente inesorabilmente attratti dalla suggestione di quelle terre immense, gelide e dal fascino imperscrutabile. A dare ulteriore prestigio all'incontro, promosso dal Soroptimist international di Gorizia, spiccava la presenza di Demetrio Volcic che ha svolto un'impagabile prolusione alla proiezione delle diapositive del viaggio, offrendo un veloce quanto esauriente quadro panoramico della “Grande Russia”. Da segnalare che il senatore, appena tornato da Strasburgo, ha appena fatto in tempo a prendere parte all'appuntamento, prima di partire per Erevan in Armenia, recentissimo teatro di gravi instabilità politiche culminate con la strage nel Parlamento della capitale armena ad opera di un manipolo di terroristi. L'ex corrispondente da Mosca del Tg1 ha tirato in causa il cosiddetto “mal di Russia” , quell'attrazione irresistibile per un paese che non si può capire, ma si può solo amare. Dove oltre il 50% della popolazione vive ben al di sotto della soglia di povertà, con immense ricchezze minerarie eppure un Pil equivalente a quello della “microscopica” Olanda. Un popolo dalla capacità rassegnata a soffrire parte di una memoria storica congenita fatta di privazioni, di guerre, di gelo. Davvero bellissime le diapositive scattate da Buzzin e dal compagno di viaggio Sandro Bernes, fin dal loro inoltrarsi, con due semplici Renault Kangoo di serie, nella Russia Asiatica dopo aver fatto tappa a Minsk, in Bielorussia. Ecco aprirsi ai lati delle piste ricoperte dalla neve, un mondo surreale e sconcertante, a partire da quei ristorantini che ogni 100 km emergono dal ghiaccio per fornire ristoro ai pochissimi viaggiatori, dove si può gustare il Pilmin, una specie di piatto di tortellini per poche centinaia di lire. E poi ecco emergere dalla taiga siberiana città gioiello come Novosibirsk e Irkutsk, la “Perla della Siberia”, vicinissima alle sponde del lago Bajkal, il più antico e profondo del mondo, che si estende per una superfice pari a quella del Belgio. Dopo Irkutsk la temperatura si irrigidisce ulteriormente e si viaggia stabilmente oltre i meno 40 gradi, tra boschi, animali selvaggi e, incredibilmente, un uomo con un samovar fumante che, per tirare avanti, vende caffè bollente per 100 lire ai viandanti - presumibilmente non più di uno al giorno - che osano avventurarsi in quei luoghi, e poi, finalmente, l'arrivo a Vladivostok, per decenni “città proibita” per gli occidentali, ove ha termine la grande avventura.

amici hanno scritto le loro emozioni ............

amici, emozioni, frasi vissute ...........
Post n°11 pubblicato il 20 Dicembre 2009 da adbuzzin
scappare lontano da tutto e da tutti.

Evadere Viaggiare con la mente, andare a ruota libera Non avere nessuno che ti disturba Essere circondati dalla steppa e scoprire nuovi orizzonti Senza paura, senza confini, ma vivere l'avventura. Sembra il nome di una donna da conquistare. I viaggi sono così Ci si deve trasportare, vedere tante cose, avere emozioni sempre diverse,

farsi travolgere dalla voglia di scoprire il mondo che c'è fuori. E sapere che è una scusa per esplorare qualcosa che si ha dentro se stessi……adalberto

ADALBERTO:…c'è chi vuole tutto dalla vita e chi non vuole niente… nei viaggi non avrò mai niente e per questo continuerò sempre a viaggiare…”

LUCIANO:Per noi viandanti che siamo sempre alla ricerca della via più solitaria,

nessun giorno comincia dove è finito il giorno precedente.

MARINO:Zingari e sognatori, magari fuor tempo, ma sereni!

ALBERTO:commento a caldo, ma penso anche a freddo: “VORREI NON AVER MAI VIAGGIATO PER NON AVER RICORDI”

ARARAD:Happy Trails ( …nel gergo dei Mushers significa ” che le piste ti siano propizie ” ) Ararad K

………. tutti hanno un paio di ali ma solo chi sogna impara a volare. anonimo

luciano

Siberia…a Est dell’Est

Tutto il tempo qua trascorso è stato un successione

di stati di coscienza e di emozioni forti.

Un primordiale stato di nulla…bianco totale,

Anche gli ultimi giorni trascorsi in Yakuzia, dentro il fiume Lena,

la traccia di strada si annulla nel bianco assoluto fino a sparire…

ma nei ricordi no.

*adalberto* pippa bacca ci ha lasciato, oggi è una giornata triste, vola ancora nel cielo…….

*pierangelo*

Caro Adalberto, nei viaggi non esistono sconfitte. Qualsiasi viaggio è sempre un'avventura e un'esperienza nuova, impari sempre qualcosa di nuovo sulle persone… che si rivelano per quello che sono veramente. Come torni? Le due macchine le hai caricate in treno o le stai portando a casa. Se non avessi legami col lavoro prenderei un aereo e verrei a darti una mano. L'importante è la salute. Manda notizie appena puoi. Ti hanno scritto le mie amiche? A presto, Pierangelo

bravissimo ed in gamba fa piacere sapere che ci sono viaggiatori come te congratulazioni www.marcellocarucci.it

… molti viandanti, vagabondi, avventurieri che hanno calpestato le steppe mongole, ma pochi gli uomini che hanno lasciato una traccia… uno scrittore mongolo

“PARTIRE SPERANDO DI NON ARRIVARE MAI… E’ QUESTO IL VIAGGIO INFINITO???”

http://pinuccioedoni.blogspot.com/

Giuliano Giongo:….. questa mia vita, mai così bella, mai così importante …

LucianoNulla è successo, non ti allarmare. Sai che mi piace sempre ironizzare Se siamo uniti tutto andrà per il meglio e poi questa volta ho la convinzione che faremo veramente una bella spedizione.Prepariamoci a tutto ma se siamo in armonia, gioiosi e giocosi e con i piedi ben saldi….faremo grandi cose.Non aggiungo altre per scaramanzia….. prenditi un piccolo “book”per farti un diario di viaggio. Ti servirà a viaggio finito risentire tutti i “profumi” e rivivere emozioni uniche.Ciao “gabbiano stanco”

bellissima lettera scritta da luciano “C'era il sole quel mattino quando partimmo dal porto di Vladivostok.C'era il sole, ma non scaldava. C'era tanta gente, fotografi, viedoperatori, giornalisti, autorità, curiosie… c'eravamo tutti noi. Ebbi una strana sensazione quel freddo mattino. Non capivo se erano tutti lì per salutare avventurosi eroi o incoscienti che stavano per compiere una”goliardata”Poi mano a mano che si andava verso Nord e la temperatura si abbassava anche il rapporto di gruppo si raffreddava sempre più, fino all'epilogo finale. L'illusione che una mia presa di responsabilità poteva riparare, almeno in parte,contrasti iniziali, sfumarono un freddo mattino e nel peggior albergo di Irkutsk quando mani si strinsero in un mesto saluto. Poi vennero giorni sereni 1200 Km più a nord Giorni pieni di luce e voglia di fare e la magia finale di aver realizzato più foto buone in soli tre giorni che tutti i precedenti.Tutte le informazioni avute sul posto mi garantivano per certo che ciò che volevamo fare, si poteva fare.Sarebbe bastata, quella che in ogni spedizione si chiama, la forza di gruppo.In tanti anni di viaggi mai ho dovuto alzare le mani in segno di resa, come in questo.Resa che nemmeno uno strano personaggio incontrato sul Lena ghiacciato, ha accettato.Era fermo da giorni, ai bordi della pista, in una tenda riscaldata da un piccolo bruciatorino e dalla sua volontà. Era là che attendeva paziente un pezzo di ricambio della sua mountain-bike dall'Olanda per poi proseguire in solitaria verso Magadan.Aveva una bandierina nera su quello spartano mezzo,nera come la maglia dell'ultimo ciclista in classifica che comunque,con tanta tenacia,vuole portare a termine il suo “tuor”.Era timido e schivo quando il mio clic-killer lo fotografava come non voler entrare di diritto in quel grande “crazy travellers club” C'era il sole quel mattino a Vladivostok e c'era il sole anche quel mattino a Yakutsk quando l'ultimo aereo mi riportava a casa, ma non scaldava”Mentre scrivo l'ultima pagina del diario “Sibir 2006”, sono nella mia stanza “buia”,stanza dove ho montato e monto filmati e audiovisivi girati in tanti viaggi,viaggi alla scoperta di luoghi e gente nuova, ma soprattutto viaggi intesi come esperienze divita.Un film lungo oltre trent'anni che mi resiste dentro perchè lo vivo ancora.Sullo schermo di fronte i volti mi sembrano reali, ne riascolto le voci i suoni,a volte ho anche l'impressione di sentire gli odori. Vedo occhi che mi guardano e mi danno fiducia e mi stimolano a fare sempre cose nuove.Nella vita di ognuno di noi penso ci sia sempre una stanza buia, un luogo in cui crediamo riposto il segreto della letizia.Non so dire se è un bene o un male, ma probabilmente le nostre giornate sarebbero molto più aride se non potessimo, ogni tanto, rifugiarci in quella stanza buia e non vorrei mai che un giorno, non so per quale arcano, all'accendersi della luce accorgermi che quella la stanza è vuota.Nella speranza che un giorno più il là di ritrovarvi,vi abbraccio.

LUCIANO**Beppe Carletti batte una nota…Sergio Reggioli risponde con l’archetto…Nella piazza di Sant’Agata il silenzio diventa assoluto.Pianoforte e violino si accoppiano in una musica sublime.Una “rarità” improvvisata avvolge tutti.(Mai registrata prima. L’ho saputo dopo cercandone il C D)Minuti che coinvolgono anima e cervello in piaceri assoluti.Poi i Nomadi iniziano a proporre delizie in abbondanza,“chicche” che un pubblico mai sazio “tracanna”.Ben oltre la mezzanotte un biglietto giunge sul palco.Danilo Sacco (il cantante) dopo averlo letto guarda nella mia direzione e sorride:Dai Nomadi… a un ” nomade”… dedichiamo:Crescerai Io vagabondo Dio è morto Il pubblico non sa …ma un lunghissimo applauso “sconquassa” la piazza,applausi che si prolungano anche alla conclusione del concerto.Poi…strette di mano… abbracci …tanti arrivederci a più in la nel tempo.Rientrato a casa mi riappaiono nella mente indimenticabili serate,troppo tempo fa, nelle balere della bassa reggiana e modenese ad aspettare l’albeggiare, festeggiando quel poco che ci veniva concesso e che per noi era tutto.Crescerai…mi diceva mio padre Vagabondo…mi chiamava l’amico Ambrogio Fogar Dio è morto…Certamente qualcosa di vero c’è , penso io, andando a letto commosso come un bambino.

articolo su stampa nazionale

articoli dal mondo
Post n°12 pubblicato il 20 Dicembre 2009 da adbuzzin
MESSAGGERO VENETO - Giovedì 16 luglio 1992 L'ESPERIENZA DI UN CORMONESE NEL PAESE SCONVOLTO DALLA GUERRA NEL GOLFO Kuwait, l'altra vacanza Ma lo sapete che là le nostre 10 mila lire erano in vendita a 4 mila? Dove vado quest'anno in ferie? Una domanda che in questo periodo si pongono in molti. La scelta ricade in gei~eresu noto località di villeggiatura ma c'è anche chi preferisce i Paesi non intaccati dal turismo di massa, che conservano indubbiamente la loro spontaneità. É il caso del cormonese Adalberto Buzzin, ancora una volta agomsta di una singolare ~spcrienza di viaggio. La me~a prescelta è stata il Kuwait~ I paese coinvolto, lo scorso imio, nella guerra del golfo.

Juimn ha voluto toccare con nano quelle zone che sino a malche tempo fa erano nonniate sulle prime pagine di .utti i giornali e che ora sono xnpegnate nella delicata fase iella ricostruzione. In una ;entina di giorni il cormonese in attraversato il Kuwait in ungo e in largo percorrendo ~irca duemila chilometri. En- rare in questo Paese non è ìcile: bisogna essere cono~ciuto da un cittadino kuwaiinno che dia in pratica precie garanzie, e le misure di controllo sono rigide. «I popoli dcl Gòlfo - racconta in collaborazione con Foto Studio Sergio e con il giornalista milanese Raffaele Laurenzi, è stato ovviamente Camtterimato da isa caldo che di giorno oscilla tra i 45c 48 gradi Sul proprio percorso il cormonese ha trovato isa grannumero di m~ militari abbandonati chè contribuiscono a ricordare la terribile guerra. Ma il simbolo della ricostruzione è li vicino e sono i pozzi di petrolio spenti a tempo di record in otto mesi. Una curiosità che sottolinea come là il turismo non sia visto come un pollo da spennare: m isa mercato nel sud del Paese su tma bancarella vi erano in vendita le banconote di molti Paesi del mondo. Le nostre diecimila lire attualmente in corso, valevano circa quattro milalire, forse poco abituati al turismo, ci hanno accolti con sincerità e spontaneità. Anche per strada la tenda del beduino è sempre aperta per gli amici. Ricordo che tutti si preoccupavano sempre di indicarcì le piste migliori nel deserto, in modo da non intraprendere le vie che non sono state ancora bonificate dalle mine inesplose.

correndo verso il giappone ....

venezia tokyo in macchina 4x4
Post n°13 pubblicato il 20 Dicembre 2009 da adbuzzin

PRIMA DELLA PARTENZA

Tre fuoristrada Isuzu, due pick up e un Trooper, con a bordo otto avventurosi, si accingono a partire, a marzo, per il Giappone. Si tratta di almeno 15mila km attraverso tutta Asia, e il tempo previsto è di circa due mesi. Dopo la partenza dall’Italia si attraverseranno i Balcani e la Turchia fino a raggiungere la Georgia; tappa obbligata sarà Suchumi, antica roccaforte sede nel medioevo di un ordine simile ai templari; il viaggio proseguirà attraverso Amenia, Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Kyrgystan, e Kazakistan fino alla Mongolia. Attraverso questi paesi i nostri eroi cercheranno di incontrare le realtà più diverse: da Baku, dove le società petrolifere di tutto il mondo si contendono l’Eldorado del terzo millennio, alla valle di Fergana, dove un migliaio di irriducibili ha creato un vero e proprio stato indipendente dal Taijkistan, ad Alma Ata culla degli indipendentisti Uiguri. In tutti questi paesi verrà regalato alle autorità il vino della Pace di Cormons e, per quanto possibile, aiuti materiali, cibo e medicine. Si continua attraversando il deserto di Gobi e da qui, se possibile, si cercherà di entrare in Cina e, costeggiando la grande muraglia, raggiungere Pechino. Ivi sarà tentata l’ultima impresa: entrare nella Corea del Nord e proseguire poi nella Corea del Sud da dove raggiungere il Giappone. Protagonisti e organizzatori sono Sandro Bernes (San Giovanni al Natisone) main driver, Adalberto Buzzin (Cormons) main driver, Paolo Morocutti (Cormons) responsabile relazioni esterne, Thomas Tonicello (Cormons) tecnico off road, Andrei Chutnik (Parigi) interprete. Gli altri componenti sono un reporter professionista, un medico, in cineoperatore. Sponsor principali: Isuzu Midi Europe, Loester accessori auto, All-Glow Escape, Elf, Webasto, Generali Assicurazioni, Cinelli, Pneusservice, Timòn a la via Travel Office.

DURANTE IL VIAGGIO

Resoconto dalla spedizione Transasia 2001 scritto da adalberto buzzin

Abbiamo attraversato tutto il Kazakistan da sud a nord attraverso una serie di paesaggi mozzafiato, dalle infinite distese di verde ai brulli scenari desertici. Qui la fortuna di un’improvvisa pioggia notturna ci ha regalato il giorno dopo una sorpresa inaspettata: il deserto, grigio e assetato, si è trasformato in una stupenda distesa di germogli pieni di vita. Le nostre tappe in Kazakistan non ci hanno visti incontrare grandi città ma numerosi piccoli villaggi dove il nostro arrivo si è trasformato subito in una festa con scambi di regali e auguri. Proseguendo a nord, verso la grande Russia, il clima è rapidamente cambiato e durante una tappa notturna siamo stati investiti da una bufera di neve che ha letteralmente cancellato la strada costringendoci a procedere a passo d’uomo. Attraversiamo il confine sovietico circondati da un silenzio irreale, intorno a noi solo neve e alberi spogli. Sono le famose betulle rosa di una delle regioni più affascinanti del pianeta: la Siberia. Attraverso un paesaggio bianco giungiamo a Novosibirsk, famosa per i suoi inverni rigidi; adesso, vista la stagione, la temperatura è mite: solo –17. La sosta di due giorni ci vede impegnati a filmare e fotografare numerosi monumenti e nei piacevoli incontri con la gente locale sempre pronta a raccontare storie e leggende della Siberia. La tappa successiva ci ha visti raggiungere Irkutsk, una città bella e ricca di vita dove abbiamo visitato le numerose chiese e assistito ai riti di festeggiamento della Pasqua. Dopo aver festeggiato anche noi – peraltro con un pranzo molto frugale composto da uova sode - abbiamo controllato le vetture e ci siamo diretti ad Ulan-Ude, alla scoperta della famosa città Buriata, dove ora ci troviamo. Questa è la famosa città ai confini con la Mongolia abitata prevalentemente dai Buriati, un popolo di origine mongola. I Buriati, che abitano questa zona della Siberia, sono totalmente diversi dai russi per aspetto e usanze e da tempo sono in contrasto con questi. Ad Ulan-Ude tutto questo è accentuato e la tensione tra questi due popoli si percepisce nettamente.

AL TERMINE DELL'IMPRESA

“Il momento più brutto? Il ritorno in ufficio: dagli affascinanti paesaggi caucasici alle montagne di carte della mia scrivania”. E’ stanchissimo Adalberto Buzzin ma trova ancora la voglia di scherzare. Dopo 17 mila chilometri percorsi, 64 giorni di viaggio e 12 Paesi attraversati assieme agli altri due cormonesi Paolo Morocutti e Thomas Tonicello passerebbe una settimana a dormire. Per recuperare il sonno perduto e ripartire verso nuove avventure. Durante la spedizione “Transasia Venezia- Tokio” ne ha viste di cotte e di crude. Paesaggi affascinanti, popolazioni dagli usi e costumi diversissimi dai nostri, culture e tradizioni: è stata un’avventura dura e pura nella quale non sono mancati i momenti di difficoltà, superati comunque sempre brillantemente grazie alla preparazione e allo spirito di adattamento dell’equipaggio. “Confesso di aver provato un po’ di paura quando siamo entrati nel Caucaso, una zona totalmente militarizzata – confessa Buzzin -. C’erano polizia e soldati in ogni angolo delle città, pronti a fermarti e a chiederti tutti i documenti. In lontananza abbiamo sentito anche qualche sparo, testimonianza che la tensione in quell’area è alle stelle. In quei momenti avrei preferito trovarmi altrove…” Per ben 12 notti su 64 gli “avventurieri” hanno dormito all’addiaccio. Le esperienze più memorabili le notti passate nel deserto (“un’emozione che mi ha tolto il respiro” commenta Buzzin) e su una piattaforma sul fiume Cita a 600 chilometri dal lago Bajkal. Un lungo viaggio per ripercorrere le orme di Marco Polo: un viaggio dispendioso. Negli ultimi giorni, ormai alle porte di Tokio, l’equipaggio è stato costretto a vendere anche una telecamera per mangiare. “Quando sono tornato a casa – confessa ancora Buzzin – ho mangiato solo spaghetti e pizza. Che soddisfazioni dopo giorni e giorni di cibo a base di spiedini, minestra, patate e uova”. Ottima anche la resistenza dei tre fuoristrada della giapponese Isuzu. “Non abbiamo mai bucato e questo è già un piccolo evento – sottolinea Buzzin -. A un certo punto abbiamo subito un colpo forte alla coppa dell’olio di uno dei tre mezzi ma grazie alla perizia di Tonicello abbiamo risolto il problema. Altro momento-no quando abbiamo fatto il pieno di benzina artica (un misto di benzina super e gasolio, ndr) vicino al Lago Bajkal. Purtroppo mischiata a quell’intruglio c’era anche acqua che ha mandato in tilt gli iniettori. L’assistenza non si è fatta attendere e il guaio è stato risolto”.

R4

RENAULT 4, MON AMOUR...' E PER LE STRADE SFILA LA NOSTALGIA

CHERASCO (Cuneo) - Hanno attraversato le strade agitate degli anni Settanta al volante della mitica "R4", l' utilitaria spartana e anticonformista divenuta una specie di simbolo a quattro ruote della "nuova sinistra". Ma chi si aspettava di vederli qui, senza più l' eskimo e con qualche capello bianco, è rimasto deluso. I contestatori di allora non si sono fatti vedere a Cherasco, il paese sui confini delle Langhe che, scelto un tempo dalla corte sabauda come rifugio fortificato e finito nei libri di scuola per le sette storiche paci stipulate tra le sue mura, ospita oggi il primo raduno nazionale delle Renault 4 alla vigilia della loro uscita dal mercato. L' ultima campagna pubblicitaria italiana della "R4", dopo 31 anni e 500 mila auto vendute, è stata affidata a una serie di vecchie parole d' ordine gauchiste. In una sorta di "operazione nostalgia", l' immagine della vetturetta francese è stata accompagnata da slogan rivisitati come "Avanti popolo", "Io sono mia", "Il capitale", "La lunga marcia", "L' Internazionale", e via sospirando fino all' ultimo, malinconico, "Bella ciao". MA NON s' è notato alcun "reducismo", neppure un accenno di rimpianto ideologico fra i 300 aficionados che, venuti da tutta Italia, ieri pomeriggio hanno guidato le loro auto in un lungo corteo celebrativo tra le colline e i vigneti di nebbiolo. All' appuntamento di Cherasco (dove perfino il parroco, padre Porro, gira su una "R4" color fiamma, ispirando gli scherzi di chi dice che "qui la ' R4' la portiamo in processione tre volte l' anno: dietro Cristo Risorto, al Corpus Domini e alla Beata Vergine del Rosario") si sono presentati amatori con una passione da collezionisti, meccanici "creativi" capaci di trasformare un' utilitaria in un fuoristrada, signori di mezza età innamorati della "R4" da almeno due decenni, patiti dei safari automobilistici e, soprattutto, moltissimi ventenni che forse nel ' 68 non erano neppure nati. "Una scelta ' politica' ? No - dice deciso un giovanotto bresciano venuto con un gruppo di amici - Ho preferito questa macchina perché funziona. Guarda, due mesi fa da noi c' è stata una piena, l' acqua è salita fino ai finestrini. Io dovevo accompagnare una persona all' ospedale, e ' lei' mi ci ha portato senza fermarsi". Niente nostalgie neppure per Adalberto Buzzin, un assicuratore di Cormons che con la "R4" ha fatto 370 mila chilometri in 14 viaggi, attraversando 24 Paesi di tre continenti, guadagnandosi il numero 1 del "radunista d' onore". "A questa auto - dice - sono affezionato, sì, ma per i ricordi che mi dà. Ne ho avute tre, da vent' anni a questa parte. La prima l' ho comprata appena avuta la patente: costava poco, un milione e quattro. Allora, dalle nostre parti, la usavano solo i panettieri e i contadini, solo in seguito è diventata una macchina sbarazzina e tuttofare. Ma per me non ha nulla di ideologico". Con la vettura che "non lo ha mai lasciato per strada", Buzzin ha affrontato situazioni molto difficili: come in Ungheria, dove ha percorso 150 chilometri col parabrezza sfondato in una tempesta di neve; o come in Cecoslovacchia dove, a 25 gradi sottozero, ha dovuto mettere un guanto di lana sul filtro per evitare che gelasse il carburatore. Molto più tranquilla l' esperienza di Antonio Scialpi, ex maestro di scuola in pensione che ha impiegato due giorni per attraversare la penisola in "R4", con la moglie, da Cisternino, in provincia di Brindisi: "Abbiamo fatto più di mille chilometri. Solitamente usiamo un' altra auto, ma stavolta...". E' il "radunista" che viene da più lontano. Ma c' è anche chi viene dall' estero. Jean Jacques Bousselet, anziano commerciante francese di Orléans, ha portato la sua "4CV" - la "progenitrice" della Errequattro - equipaggiata con un impianto a gpl: "Fa i cento all' ora - dice con orgoglio - anche se, a quella velocità, diventa un po' difficile da guidare". Zeliko Vojvodic, 32 anni, è arrivato da Zagabria con una "R8" e la bandierina croata incollata sulla carrozzeria. Elettricista con l' hobby dei motori (è primo meccanico in un team di moto su strada), vuole sapere se in Italia si può combinare qualche affare: "Vorrei aprire una concessionaria in Croazia, adesso da noi il mercato è aperto". Con lui c' è il fratello, fuggito da Zara bombardata per accompagnare la moglie a partorire in Italia. Oggi il meeting si conclude con la premiazione dei partecipanti.

articolo su stampa nazionale

Il viaggio di Adalberto Buzzin in Siberia Il mensile No Limits, in edicola questa settimana e che si dedica alle avventure estreme, riporta un ampio servizio sull'attraversata della Siberia compiuta, lo scorso febbraio, dal cormonese AdalbertoBuzzin e da altri cinque compagni di viaggio a bordo di due Renault Kangoo. Sotto il titolo “Transiberiana in quattro ruote”, No Limits raccoglie un gran numero di fotografie scattate nel tragitto compiuto da Udine a Vladivostok, con ampi servizi e una cartina di corredo.Tirando le somme, la spedizione ha percorso 13 mila 914 chilometri, a temperature estremamente nglde, toccando villaggi dove mai era giunto un italiano. Nel servizio, tra le altre cose, i protagonisti raccontano le emozioni dell'incontro con varie persone in Sibena: uomini e donne che conducono una vita difficile, sia per le condizioni climatiche, sia soprattutto per la povertà. Storie di varia umanità, come quell'operaio licenziato dopo trent'anni perché il macchinario su cui lavorava si era rotto e nessuno sapeva ripararlo. Ora si arrangia a vendere caffè caldo all'angolo della strada per un rublo.

poeta russo ...

Non si può capire la Russia con la ragione...si può solo credere in lei ...

..... io ..........

…………. ho sempre desiderato viaggiare per capire, per allargare la mente, per conoscere il mondo in maniera semplice e pulita. non sfide, ormai parola consumata e ricca di retorica, ma solo per capire i fatti .............

un pensiero ..........

...... alla neve, .... bianca, candida, pulita, morbida, copre tutto, avvolge i tuoi pensieri, schiarisce la notte buia .... rallegra il tuo cuore ... rallegra la tua vita .... rallegra il tuo andar randagio su quelle strade sempre tortuose ma ricche di emozioni .... alla neve dedico queste righe sperando le copra con il suo manto bianco e sappia conservarle ....

un poeta francese ............

........ non chiedermi quanti anni ho, ma quanti km ho fatto .....